Fuori i nomi di chi ha preso i soldi da Mps senza restituirli o facendolo solo in parte? Lo slogan fa presa sul mondo politico, ma quando poi si debbono prendere le relative decisioni, non sono pochi a sfilarsi. I problemi sembrano esserci soprattutto in casa Pd, dove qualcuno ha pure presentato una interrogazione parlamentare al ministro Pier Carlo Padoan chiedendogli di tirare fuori quell’elenco dei grandi debitori. Un gesto che consente buona pubblicità a basso prezzo, ma non impegna nessuno, e lascia al titolare dell’Economia la scontata risposta di una difesa della privacy “a meno che si cambino le norme esistenti”.
Ma quando si va al sodo, la musica cambia. La commissione Finanze del Senato che ha il potere di approvare un emendamento al decreto legge salva banche, che leghi l’intervento finanziario dello Stato alla pubblicazione dell’elenco dei grandi debitori, si è ben guardata dal farlo. E a Libero con onestà si dice contrario alla messa in piazza di quell’elenco un renziano importante come il presidente della commissione Bilancio di palazzo Madama, Giorgio Tonini: “A me non piacciono queste guardonate. Già stano scappando tutti i capitali dall’Italia…”.Visto che dalle istituzioni e dalla politica difficilmente si otterrà quell’elenco che i vertici della banca senese proteggono da qualsiasi curiosità, tocca a noi continuare a scavare e proporre non quei primi 100 nell’elenco delle sofferenze di Mps, ma la lista di chi ha avuto più di una difficoltà a restituire i soldi avuti in prestito. Ecco le seconda puntata.
In compagnia con altri importanti istituti di credito Mps ha parzialmente graziato nell’estate scorsa il gruppo emiliano Ceramiche Ricchetti che era esposto con il pool bancario di cui faceva parte l’istituto senese per 90 milioni di euro, pari a circa la metà del fatturato consolidato (180 milioni). Con Unicredit e Banca Intesa nel 2016 Mps ha poi accettato la terza ristrutturazione in pochi anni del debito di Stefanel, l’imprenditore del settore moda che non riesce ad uscire dalla crisi industriale. L’esposizione della banca senese però è limitata a una ventina di milioni di euro.
Altro guaio della banca senese è l’intreccio debiti-azioni esistente alle porte di Napoli con il Cis e l’Interporto di Nola. Il grande centro commerciale di Gianni Punzo (che è socio nel treno Italo di Luca Cordero di Montezemolo e Diego Della Valle) in cui sono azionisti grandi firme della moda (in primis il gruppo Yamamay della famiglia Cimmino) non ce l’ha fatta a ripagare i 272 milioni di debiti che aveva con un gruppo di banche di cui faceva parte pure Mps. Così circa la metà (149 milioni di euro) sono stati trasformati in patrimonio del Cis, e il resto è stato rimodulato allungandone in modo consistente le scadenze. Stessa crisi per l’Interporto che è controllato dalla Cisfi spa (stessi azionisti del Cis, a cominciare da Punzo e i Cimmino). Qui il debito era assai più alto- 339 milioni di euro- ed è stato ristrutturato portandone le scadenze al 2034-2035. Le banche hanno trasformato parte del loro credito in azioni, e oggi Mps ne controlla il 7,54%, che si aggiunge al 100% del capitale in pegno di una controllata Cisfi, la Aliport srl.
Più seria la situazione dei finanziamenti concessi al gruppo di Giuseppe Statuto, che divenne noto alla metà del decennio scorso per le scalate bancarie dei cosiddetti “furbetti del quartierino”. Anche in questo caso non vedendosi restituire il credito concesso Mps non ha potuto fare altro che pignorare il capitale sociale della Danieli Management, che nel gruppo si occupava del prestigioso hotel Danieli di Venezia. Ma la banca senese ha in mano così solo il 33,33% del capitale sociale che vale giusto 3.333,33 euro. Un po’ pochino rispetto alle linee di credito milionarie erogate.