Si chiama “Fuori dal Coro”, ed è una sorta di romanzo autobiografico scritto dal conduttore radiofonico Aldo Forbice per Dario Flaccovio editore. C’è il pretesto di una storia romanzata utile anche a dare un nome di fantasia al protagonista (Max, che è appunto Forbice stesso). Ma intorno alla fantasia si dipana una cronaca realmente vissuta dal conduttore radio (Zapping, che nel romanzo diventa La Ribalta) più famoso di questi decenni. Protagonista insieme al pubblico della trasmissione di mille battaglie civili e umanitarie, Forbice si schiantò su quella più semplice e popolare: chiedere al palazzo attraverso la raccolta di più di 500 mila firme, di dare un vero taglio ai costi della politica: abolire i vitalizi e alcuni privilegi e dimezzare gli stipendi parlamentari. Per quella battaglia Forbice perse il posto in Rai. E il passaggio chiave di quel che avvenne fu l’incontro (c’ero anche io) con il custode dei tesori della casta, l’allora presidente della Camera, Gianfranco Fini. Ecco il racconto contenuto nel libro appena uscito:
La segreteria di Gianfranco Fini era stata sempre cordiale. L’incontro tra il presidente della Camera e il responsabile de La Ribalta, accompagnato da un gruppo di direttori ed editorialisti di quotidiani, viene fissato in tempi ravvicinati. Max si preoccupa di avvertire il suo direttore per invitarlo a partecipare all’incontro, ma le Erinni riescono a bloccarlo sulla porta dell’ufficio del Grande capo. Senza tergiversare troppo gli fanno rigidamente capire che il direttore non gradisce essere disturbato perché ha una riunione importante in corso. Max fissa negli occhi le tre ancelle, una per una, e va via senza neanche salutarle.
L’appuntamento è previsto per le 11 a Montecitorio. Davanti all’ingresso
Ma il presidente, circondato da assistenti e commessi, si mostra nervoso, poco tollerante; in alcuni momenti sembra dissentire con chiari segni del viso e delle mani. E poi, spazientito, dice chiaramente che il parlamento “ha fatto tutto quello che poteva fare per ridurre i costi delle istituzioni e, in generale, quelli relativi alla politica”.
“Non vi è stato neppure un taglio reale del dieci per cento. Spesso quello che viene annunciato come una riduzione della spesa viene fatto rientrare sotto altre voci. Sembra un gioco delle tre carte”, commenta Max. E Franco Bechis (di Libero) rincara la dose. “La gente chiede ben altro; si sente presa in giro”.
“Lei è sicuramente in buona fede”, affermò il presidente. “Questa iniziativa è per certi aspetti anche positiva, ma dobbiamo renderci conto che è impossibile ottenere dai gruppi parlamentari (tutti, di destra e di sinistra) alcun consenso per ridurre sensibilmente i costi delle istituzioni. Che dovremmo fare, licenziare i portaborse? Dimezzare il numero dei funzionari e degli impiegati? Tagliare gli stipendi? E chi troverà mai il coraggio di farlo? Ma se non troviamo il coraggio di eliminare i vitalizi, trasformandoli in pensioni contributive!”.
Fini appariva sempre più rosso, sul viso, sul collo, e il tono della sua voce si alterava in modo preoccupante. Sembrava che stesse tenendo un comizio. Solo che non si trovava su un palco o su un balcone, ma in un grande salotto con interlocutori molto reattivi, pronti a replicare con fermezza.
“In ogni caso”, aggiunse, “sono pronto a fare la mia parte. Se il presidente del Senato sarà d’accordo non mi sottrarrò dal tagliare ancora le spese. E se lei, caro Max, creerà il partito della Ribalta, sarò il primo a iscrivermi”.“Non ci credo”, commentò piccato Bechis uscendo, insieme a Max e agli altri colleghi, tutti silenziosi e amareggiati, dal salone attiguo allo studio di Fini…